Quando ho incontrato Igor ciò che più mi ha colpito è stata la sua calma, la quiete nelle sue parole. Ascoltarlo è stato come ascoltare una melodia gentile, che racconta una storia straordinaria, quella della sua vita (che tutto è stata fuorché quieta) e delle esperienze che l’hanno condotto dove è oggi, sulle colline di Quarto di Sarsina, ad insegnare una grande arte.
Ciao Igor, prima di parlare di ciò che fai, vorrei parlare di “ciò” che sei. Come ti presenteresti a chi ti sta leggendo?
Ciao Valentina, bella domanda! Mi sento un essere umano alla ricerca, che ha dedicato la sua vita alla musica, alla crescita spirituale e alla cura della relazione, soprattutto quella tra genitori e bambini e che tutt’oggi vive di queste energie. Sono un musicista autodidatta, ma sono stato anche un insegnante, sono babbo di due bambini e sono un viaggiatore, che non ha mai smesso di credere che ogni esperienza possa insegnarti qualcosa, se sai ascoltarla e osservare i segnali.
Quando ero piccolo ricordo che la scuola non mi piaceva, la vivevo come una prigione. Il modo che avevo di apprendere, tramite la sperimentazione diretta, era molto diverso da quello che mi veniva offerto in classe, quasi sempre seduti dietro un libro. Quegli anni non sono stati affatto facili, soprattutto perché a casa avevo mamma insegnante e mio padre era ricercatore universitario.
Sono arrivato a 18 anni. Poi è successa una cosa particolare che ha cambiato tutto: sono andato a una festa di socializzazione organizzata da una comunità elfica tra le montagne dell’appennino tosco emiliano. Quel giorno, quando ho visto che c’era un altro modo di vivere, un’altra vita diversa da quella che mi avevano sempre imposto, sono rimasto folgorato. Tanto che in questo ecovillaggio autosufficiente in mezzo ai boschi mi ci sono trasferito, e ci sono rimasto alcuni anni.
All’inizio per sostentarmi suonavo per strada. Ho sempre avuto la passione per i flauti (a sei anni già suonavo senza che nessuno me lo avesse insegnato) e poi è arrivato anche il tamburo.
L’avvicinarmi sempre di più alla musica mi ha portato a un altro grande evento della mia vita: conoscere il mio maestro, Fabio Tricomi. L’ho incontrato a un concerto di musica medievale ormai 27 anni fa e quando l’ho sentito suonare ne fui certo: io dovevo fare quella musica lì!
Quindi la musica che ti rappresenta di più è quella medievale?
Nella prima parte della mia vita sì. Con il mio primo gruppo “Musica Officinalis” giravamo tutte le feste medievali in Italia e all’estero. Non eravamo in molti a suonare questo tipo di musica arcaica quindi avevamo concerti ogni settimana. È stato un periodo molto bello, di grande divertimento, goliardia e condivisione. Però a un certo punto abbiamo sentito l’esigenza di un approfondimento artistico più completo e abbiamo diminuito le feste per far spazio alla creazione di dischi molto più raffinati, adatti anche all’ascolto e non solo alla danza. Ancora oggi i nostri brani sono distillati lentissimamente e la musica che facciamo è diventata sempre più sperimentale, con la volontà di sovvertire l’approccio accademico, alla ricerca di un sempre maggiore impatto emotivo, per istaurare con chi ci ascolta un legame che va oltre la melodia.
Ho continuato per anni a prendere lezioni dal mio maestro, che oltre ad essere un grande musicista e collezionista di strumenti antichi rari, è diventato un amico insostituibile. Ricordo il giorno in cui mi disse: “Non ho più nulla da insegnarti” (non era vero) “e vorrei che iniziassi a suonare con me, negli Alcantara”. Così è cominciata un’altra avventura, bellissima, che continua ancora oggi: qualche mese fa abbiamo suonato al Quirinale per l’evento che ospitava Roberto Benigni e sta per uscire il nostro nuovo cd.
Per tornare alla musica medievale, ti dicevo che per la prima parte della mia vita è stata determinante. Poi, dopo aver insegnato alla scuola di musica popolare di Forlimpopoli e dopo aver passato anni con bambini di tutte le età, ho capito che il mio approccio doveva evolvere ancora una volta.
Ho iniziato a sperimentare la musica come ricerca spirituale e i miei viaggi si sono fatti più intensi.
Frequentavo spesso workshop in Italia o all’estero e ogni volta che tornavo a casa mi portavo dietro un nuovo bagaglio musicale (e tanti strumenti tipici). Così la mia passione per le musiche tribali, balcaniche, iraniane, turche, magrebine, egiziane è esplosa.
In quelle musiche lì c’era la storia dei popoli, le radici e la tradizione di una cultura, c’erano le foreste, i boschi, la terra, i contadini, gli artigiani, i bambini, le donne: c’era la vita delle persone che quella musica la suonavano e la ballavano. La musica antica del mondo è come un dialetto, ognuno ha il suo e cambia di paese in paese: ha diverse sfumature, diversi strumenti, diversi messaggi da raccontare.
E quando hai capito che la tua strada ti avrebbe portato al tamburo sciamanico?
Ho sempre suonato solo strumenti a fiato e a percussioni: cornamuse, flauti orientali, arcaici, medievali, della tradizione mediterranea, percussioni tradizionali italiane quindi pizziche, tamburiate, tamburello siciliano e poi percussioni arabe. Il tamburo quindi è sempre stato parte di me ma, quando ho cominciato a sperimentare gli effetti del tamburo come strumento spirituale, per aprire porte rimaste chiuse per tutta la vita, esplorando profondamente le emozioni, c’è stato un altro balzo nel mio percorso.
Sono partito per la Siberia, dove ho conosciuto e mi sono immerso nello sciamanesimo siberiano, e lì ho appreso come costruire tamburi sciamanici. Al mio ritorno le richieste per insegnare questa preziosa arte erano tantissime e non ho potuto ignorare i segnali.
Così ho iniziato ad accompagnare le persone nella costruzione del proprio tamburo, che da strumento musicale diviene messaggero e custode di un intento preciso, che lo rende vivo e parte integrante del percorso spirituale di crescita interiore.
È stupendo sentirti parlare di questo strumento come se fosse realmente una persona, un amico a cui affidarsi per vivere un viaggio unico, che ci porta più vicini al senso della nostra vita. Sono molto curiosa di sapere dei workshop dove costruite i tamburi sciamanici, ti va di raccontarmi come si svolgono?
Durante i 2-3 workshop che si svolgono ogni mese, dove incontro piccoli gruppi di persone, non si costruiscono solo tamburi, ma si crea una vera e nuova visione della vita: il tamburo ti parla, ti riconnette ad una parte di te profonda, speciale, magica. Ti svela mondi che non conoscevi e che, se ti fidi di lui, puoi esplorare.
Con chi partecipa si instaura una relazione animica molto forte, indispensabile per accompagnare le persone nel proprio viaggio sciamanico e far sì che possano incontrare il loro spirito guida del tamburo.
Questa energia si rivela sotto forma di intento, di promessa. Ed è proprio questo messaggio che permetterà di costruire il tamburo e darà vita a un nuovo balzo evolutivo nella mente e nel cuore di chi lo ha creato con le proprie mani ma anche con la propria anima.
Da quel momento il tamburo diventa un modo di connettersi a qualcosa di molto più vasto e primordiale, all’essenza della vita, dimenticandosi della paura della morte – altro aspetto che viene ispezionato nel mentre della realizzazione del tamburo – per andare oltre la soglia e vivere uno stato di coscienza diverso da quello quotidiano, più alto, più completo.

Un’ultima curiosità: perché per questi rituali si usa proprio il tamburo?
Per la sua ancestralità. Se andiamo indietro nel tempo, il tamburo è lo strumento principe della maggior parte delle culture. Si suona da sempre, ovunque nel mondo. Il suo legame con il ritmo, innato in ogni essere umano, non ha bisogno di nozioni musicali per essere sperimentato.
Le percussioni richiamano il battito del cuore, suono che ci tiene in vita. Nel tamburo ci si può mettere un’emozione e suonarlo è una scarica vitale che ci riporta alla nostra essenza selvatica.
Magari alcuni se lo sono dimenticati e se prendono in mano un tamburo dicono di non saperlo usare, ma se si liberassero di preconcetti, aspettative e giudizi si renderebbero conto che il bambino che è dentro di noi è un bravissimo percussionista, naturalmente connesso al ritmo di Madre Terra.
Intervista a Igor Niego, a cura di Valentina Balestri (redazione Vivi Consapevole in Romagna)
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