Liberi dalle catene

Liberi dalle catene

Quando la voglia di libertà e autosufficienza vince su tutto

Intervista a Giovanni Casadei a cura di Andrea Giulia Pollini

Penso che dell’intervista che andrete a leggere, le parole che più vi rimarranno impresse saranno proprio queste: “liberarsi dalle catene”. Ovviamente non si parla di catene fisiche ma di catene astratte che sono, però, percepibili quanto quelle che possiamo toccare: catene che ci legano i polsi e ci costringono a vivere in una realtà che spesso ci sta stretta. Abbiamo incontrato Giovanni Casadei che ci ha fatto ragionare sulla sua idea di catene e su come iniziare a scioglierle.

Giovanni è un uomo semplice, che ha avuto il coraggio di trasformare la sua vita con la consapevolezza e la speranza che, un domani, tutti possano avere la possibilità di cambiarla come lui!

Ciao Giovanni, visto che il nostro discorso è iniziato dal concetto di schiavitù e di come nella vita siamo tutti influenzati da ciò che il mondo ci impone, inizio subito con una domanda semplice: cosa ti ha spinto a “liberarti” da queste catene?

Voglio darti una risposta altrettanto semplice: ho iniziato piano piano a rompere le catene che mi rendevano schiavo del nostro mondo, estremamente commercializzato e ormai così poco “naturale”.

Non volevo più dipendere da nessuno se non da me stesso e dalla terra, perché è proprio lì che si nasconde la vera libertà

Allora mi sono rimesso in gioco, ho rischiato il tutto per tutto, perché ormai era l’unico modo che sentivo mio per essere felice. Ma iniziamo dal principio. Sono nato a Bologna, da mamma casalinga e babbo meccanico. Sin da ragazzo ho sempre lavorato e sono riuscito in un modo o nell’altro a tirare avanti, districandomi tra il lavoro e la famiglia.

Nel 2008 è iniziata la mia rinascita: come una fenice che riparte dalle ceneri, io sono ripartito da una situazione veramente precaria. Mi sono ritrovato di fronte a una grossa crisi lavorativa e finanziaria e ho capito che dovevo reinventarmi. Mi sentivo incatenato in un mondo che non mi apparteneva, un mondo governato dal denaro e dal capitalismo. Dopo aver fatto i lavori più disparati, come il lavapiatti ad esempio, ho iniziato a conoscere il duro lavoro della campagna. Da lì qualcosa dentro di me è cambiato: ho sentito immediatamente un legame profondo con la terra e ho compreso che quella poteva essere la mia strada!

Mi sono appassionato sempre di più alla vita lontana dalla città e quando ho ereditato lo splendido podere di origini malatestiane che ora chiamo“casa”, non ci ho pensato due volte e mi sono trasferito lì con la mia famiglia. Ora vivo sulle splendide colline di San Giovanni in Galilea, insieme alla mia compagna di vita, su un crinale da cui si vede tutta la Romagna, compreso il mare, un luogo incantevole in cui svegliarsi ogni mattina.

Ho lavorato in molte aziende agricole della zona e sono diventato sempre più esperto a capire e ascoltare la terra. È lì che ho deciso di creare il mio orto personale con un unico obiettivo: l’autosufficienza. Il mio sogno di libertà è germogliato così e, a ripensarci, mi commuovo ancora quando ricordo la prima raccolta di uva e olio autoprodotto.

Quando vedi nascere la vita dalla terra ti rendi conto dell’immensità della natura e di quanto essa possa bastare per liberarti da tutte le catene

Guardandomi attorno mi rendo conto che il tuo podere è davvero molto grande. Allora mi chiedo: come fai a portare avanti tutto da solo?

In campagna la fatica non manca, soprattutto perché non sei tu che decidi ma è la terra che decide per te! Avendo quattro ettari di terreno di cui occuparmi, la mole di lavoro è sempre tanta ma quando fai ciò che ami, la stanchezza si sente meno. In più, per quanto le mani siano sempre sporche di terra, la soddisfazione è tanta: questo tipo di vita ti insegna ad essere padrone di te stesso, sovrano indipendente e autosufficiente. È molto diverso dall’essere incastrato in un lavoro che scandisce la tua esistenza aspettando l’inizio del mese per pagare le bollette.

Mi chiedo spesso cosa avrò lasciato a questo mondo quando non ci sarò più, e mi rispondo sempre che l’unica cosa che vorrei lasciare a questa terra è la terra stessa

Credo fortemente nella possibilità di un cambiamento, in un risveglio delle coscienze e sono sicuro che il futuro è nelle nostre mani e non nella stretta di questo sistema che ci vuole solo schiavi.

La mia grande fortuna sta nell’avere incontrato una donna, che ogni giorno mi sostiene con la sua forza e mi dà la carica per affrontare tutto questo con il sorriso. La definisco ”la mia compagna di vita”: l’ho aspettata per tanti anni e ora insieme condividiamo questo sogno. Grazie a lei non mi sento solo e sono sempre più convinto di aver preso la giusta strada. Ci piacerebbe coinvolgere altre persone in questo progetto nel quale crediamo fermamente.

Qual è il vostro sogno? E come state cercando di realizzarlo?

Al giorno d’oggi è abbastanza utopico pensare di essere autosufficienti al 100% ma ci troviamo forse nel periodo giusto: vedo sempre più persone che stanno iniziando a fare i conti con le proprie coscienze, domandandosi se il modo in cui abbiamo vissuto fino a ora sia quello giusto, o se ne esista un altro per vivere meglio, più sani e liberi. Da questa consapevolezza è nato il grande sogno che stiamo cercando di portare avanti, a piccoli passi sì, ma con costanza.

Io e la mia compagna vorremmo poter creare una comunità di supporto agricolo, la cosiddetta CSA, la cui organizzazione si basa sull’alleanza fra chi produce il cibo (i contadini) e le persone che lo mangiano (i fruitori). Nella CSA l’agricoltura e le attività lavorative sono sostenute dalla comunità, che partecipa attivamente a tutto ciò che concerne l’azienda.

Questo significa istituire collaborazioni attive e creare un contesto in cui le persone possano recuperare gradualmente una parte della loro sovranità alimentare. Si tratta di smontare i concetti di produttore, commerciante e consumatore, per poi riassemblarli in un’unica figura, il consum-attore, che è consapevole e decondizionato dai meccanismi finanziari di un’economia che si basa sul mero consumo. Si punta pertanto a un’economia reale basata su un’ottica di solidarietà umana, dove sia possibile recuperare quei valori di sobrietà, partecipazione e sostenibilità che tanti anni fa erano alla base della nostra società e che, al giorno d’oggi, purtroppo sono stati dimenticati.

Nella CSA in pratica esistono dei soci lavoratori e soci fruitori che sostengono e finanziano l’azienda e il lavoro. Non esiste una vera e propria divisione dei ruoli perché tutti sono in stretta collaborazione, e ognuno è fondamentale. La CSA ha come scopo finale la fiducia reciproca e l’aumento della propria consapevolezza. Impari a conoscere la fatica e le difficoltà di una vita più “semplice e contadina” ma questo ti permette di trovare nuovi stimoli che ti portano a una più alta ed evoluta percezione sia di te stesso sia dell’ambiente che ti circonda.

L’ho provato sulla mia pelle: quando sei tu a produrti il tuo stesso cibo si innesca un meccanismo dentro di te che ti esorta e ti spinge a diventare anche più padrone della tua vita, della tua coscienza

Sono sicuro che il cambiamento passi attraverso azioni reali e concrete e mi piace pensare di poter attirare persone che, come me e la mia compagna, credono di poter migliorare la nostra terra e la propria vita con umiltà e perseveranza. Solo quando avrai il potere di decidere per te stesso, potrai essere finalmente libero dalle catene.


Giovanni Casadei

È proprietario dell’Azienda Agricola di Montecchio a San Giovanni in Galilea, che a oggi copre le esigenze di 15 famiglie romagnole a cui consegna settimanalmente verdura fresca e biologica, seguendo le stagionalità e ciò che l’orto offre. Il suo obiettivo è quello di condividere la sua azienda e creare una CSA. Per questo cerca soci che insieme a lui possano dare vita a questo grande sogno.

Per contattarlo: 335 6374996 – zwann@hotmail.com

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La redazione di Vivi Consapevole in Romagna.