L’Università del disapprendimento

L’Università del disapprendimento

Il sogno di Debora sta prendendo forma: una nuova università dove si disimpara ciò che è stato dato per scontato, per fare spazio a ciò che muove realmente la nostra anima e il nostro cuore

Quando ho incontrato Debora sono rimasta colpita dalla luce che sprigiona. Si capisce subito quando una persona è felice. E libera!

Intervistarla è stato un onore e raccontare il suo sogno di creare un progetto educativo del tutto nuovo e sovversivo, l’università del disapprendimento, lo è ancora di più.

Debora è donna, mamma, nomade. È una sognatrice coraggiosa. La vita l’ha condotta in mille luoghi e poi riportata qui, in Romagna, dove mi ha confessato di voler mettere radici e piantare un albero per vederlo crescere.

Oggi è anche doula, al servizio delle donne, in ascolto delle loro necessità quando si trovano ad affrontare un passaggio meraviglioso quanto profondo della vita, ovvero la nascita di un figlio.

Il suo fare dolce e accogliente, il suo sorriso, la sua voce delicata sono stati ingredienti che hanno reso questa intervista ancora più bella.

Ma partiamo subito, e iniziamo con la prima domanda.

Ciao Debora, raccontami di te, della tua infanzia e di cosa ti ha condotto all’essere la donna che sei oggi.

Io sono nata in Svizzera, 44 anni fa, da genitori migranti. Sono cresciuta come “straniera” in un paese dove gli italiani erano molto discriminati (c’erano ancora cartelli con scritto “vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”). La mia educazione si basava soprattutto sul “non disturbare” e non dare troppo nell’occhio. Diciamo che conformarsi era la buona regola per essere “promossi”, non solo a scuola. Ciò mi ha portata ad essere una brava bambina, silenziosa, sempre obbediente.

Non poteva durare a lungo… E infatti, nell’età dell’adolescenza ho iniziato a dare i primi segni di sovversione.

Da qui – mi fa sorridere quando ci penso – la musica mi ha accompagnato in ogni fase, dimostrandosi un’estensione di me, rivelatrice e sorella di ogni mio cambiamento.

All’inizio mi sono appassionata al rock, attraverso cui esprimere il mio disagio, la mia ribellione, poi è arrivato il metal, che mi ha fatto gridare al mondo chi ero, poi è arrivata la musica dark e da lì c’è stato un balzo.

Dopo la laurea in lettere classiche sono partita zaino in spalla per 6 mesi in Asia. Al mio ritorno ho trovato lavoro in una ONG dove sono rimasta per 5 anni. Poi sono ripartita per l’India. Quando dicono che un viaggio può cambiarti la vita, beh, hanno ragione. In quegli anni ho capito che la mia musica era quella dei popoli indigeni e il tamburo il mio strumento.

Dopo vari giri per il mondo sono tornata e ho cercato un luogo che potesse accogliere la voglia di esprimere la nuova me e aiutarmi a dare al mondo un contributo tangibile. Così sono approdata alla Casa del Cuculo, a Meldola, che allora era una comunità agro-artistica. È qui, insieme agli altri giovani contadini sognatori con cui ho avuto il piacere di convivere, che ho iniziato il mio vero percorso di disapprendimento, una parola fondamentale nella mia vita, che mi ha condotta dove sono ora.

Cosa intendi con disapprendimento?

Ci sentiamo dire continuamente come vivere: prima la scuola, poi il lavoro, poi il matrimonio, poi i figli. Ci insegnano che la vita è piena di regole da rispettare, limiti a cui sottostare, confini da non oltrepassare.

Disapprendere significa mettere in discussione man mano ciò che ci viene imposto o dato per scontato, e fare spazio a ciò che invece apprendiamo in modo spontaneo, dalla vita stessa e dalle esperienze che ci mette di fronte.

Capire ciò mi è stato fondamentale quando mi sono avvicinata ai bambini. Dopo il Master in Musicarterapia ho iniziato infatti a collaborare con le scuole: facevo laboratori musicali esperienziali insieme a Igor, il mio compagno, e con il passare del tempo ho compreso di cosa c’era bisogno davvero: di muoversi e vivere il contatto con il corpo e le emozioni.

L’apprendimento in classe prevede l’immobilità per ore e un distacco dalle necessità primarie del corpo. Quando ho iniziato a lavorarci da esterna, ho visto quanto mancasse di tutelare i bisogni primari di questi piccoli esseri umani, che fondamentalmente sono semplici: muovere un corpo, respirare aria fresca e soprattutto fare ciò che si ama. Purtroppo ci si abitua troppo facilmente ad accettare di stare in qualcosa che non ci piace perché sappiamo che dopo avremo una ricompensa, un buon voto o una prospettiva di vita comoda.

Sarebbe meraviglioso se la scuola accendesse i talenti che più ci fanno brillare, ci nutrisse di curiosità ed esperienze e ci proponesse pratiche di convivenza comunitaria ed empatica.

Esistono esempi nel mondo di scuole così: ce n’è una centenaria, in Inghilterra, una scuola democratica progressiva, uno dei più significativi esperimenti di pedagogia libertaria: la Summerhill School, fondata da Alexander Sutherland Neill nel 1921. Qui non ci sono obblighi: i bambini abitano lì, dai 6 ai 17 anni, e come strumento di governo hanno l’assemblea. Che tu sia grande o piccolo hai diritto di voto e con questo diritto i bambini hanno il potere di licenziare un insegnante se non è bravo. Spesso mi chiedo come sarebbe la società se tutte le scuole del mondo fossero così…

Sai, credo che i bambini siano l’unica minoranza oppressa che non ha coscienza di essere una minoranza oppressa.

Tutti gli altri, i neri, le donne, i popoli indigeni, ad un certo punto hanno iniziato a lottare per la loro identità, per i loro valori. Ma i bambini, che sono nell’amore incondizionato, anche se un adulto li denigra, li picchia, li tratta male, sono sempre e comunque pronti ad amarci. E questo è ciò che li rende così vulnerabili ma anche forti, di quella forza che solo un cuore aperto può avere.

Dalla Musicarterapia cosa ti ha portato a diventare doula?

A 33 anni sono diventata mamma, e quella è stata la più grande scuola di disapprendimento che potessi vivere. Ho da subito incontrato le persone giuste: Michel Odent, un dottore novantenne che ha rivoluzionato l’idea del parto, e Clara Scropetta, sua portavoce in Italia. Questo incontro mi ha insegnato una grande verità: la donna ha tutto ciò che le serve per partorire e ce l’ha da centinaia di migliaia di anni.

Ne ho avuto la conferma quando, per varie “coincidenze”, mi sono ritrovata a vivere un parto spontaneo, senza assistenza. Con me c’erano il mio compagno Igor e Ayla, che ha fatto la sua parte nascendo serenamente, senza complicazioni.

Mia figlia non è l’unica ad essere nata quel giorno, perché l’esperienza della sua nascita mi ha dato una nuova consapevolezza e un’immensa fiducia in me stessa, che mi hanno dato la forza di riprendere in mano le responsabilità della mia vita. E così sono diventata mamma con l’idea di non delegare più il modo in cui mia figlia sarebbe stata cresciuta, educata, nutrita e curata.

La voglia di diventare doula è partita lì, quando ho capito che volevo stare accanto ad altre donne, perché potessero sentirsi complete e perfette nel loro essere madri.

Essere doula significa essere al servizio, prendersi cura. Significa entrare in punta di piedi nella vita di una famiglia ed essere disponibile ad ascoltare, essere una spalla su cui piangere quando serve, alleggerire alcune situazioni con la semplicità di un abbraccio, o una canzone, o una parola gentile. Significa esserci e non far sentire sola colei che porta in grembo una nuova, meravigliosa, vita. Ancora oggi, quando riesco a far sorridere una futura mamma, quando so che la mia presenza la fa sentire al sicuro, capita e protetta, mi sento fortunata di aver saputo cogliere questa vocazione.

Ascoltandoti mi rendo conto di quanto il tuo percorso sia coerente. Sei partita dall’educazione dei bambini, per arrivare all’educazione delle madri, che a mio parere sono le più grandi educatrici di tutta la nostra società. E oggi, dove ti porta questo percorso?

Verso un grande sogno che sto pian piano realizzando: una nuova forma di “università”, un percorso di studi superiori (e non) legato al disapprendimento.

Sì, una vera e propria fucina di persone portentose che si mettono a disposizione di chi vuole disimparare e ricominciare ad apprendere in modo spontaneo, ispirato da ciò che ama e che lo chiama. Un’alternativa per tutti coloro che vogliono scegliere liberamente cosa imparare, quale vocazione seguire. Un’università multigenerazionale che diventa sorgente di opportunità, incontri, aiuti reciproci, esperienze dirette, per crescere e formarsi su ciò che prediligiamo e non su ciò che ci viene deciso da altri seguendo logiche lontane da noi.

La vita mi ha dato l’occasione di incontrare persone incredibili, esseri umani che vivono in modo resiliente e coraggioso, senza lasciarsi distrarre dagli obblighi su cui si radica la nostra cultura. Persone che non hanno avuto paura di andare contro corrente, anime che hanno saputo far fiorire la propria libertà di espressione. Ecco, vorrei che fossero proprio loro i primi “insegnanti” di questa nuova “accademia”.

E vorrei che infondessero nello spirito dei loro “allievi” la stessa resilienza che hanno dimostrato nella vita, la stessa audacia nel seguire i propri sogni.

L’università del disapprendimento è selvatica e include anche la mia passione per “outdoor education” ed “experiential learning”, dove impari se fai, se tocchi, se esplori, se sbagli e riprovi; dove si apprende non più sui libri ma insieme a chi quei libri li ha scritti.  

L’obiettivo è quello di dare a tutti, giovani e non, l’occasione di esprimere l’incredibile potenziale che risiede in ognuno di noi, con fiducia e fierezza, sentendosi liberi di essere ciò che più si vuole, lasciandosi condurre da ciò che più muove al servizio verso la vita.

Così la stiamo costruendo, a diretto contatto con la terra e con le persone che la abitano con rispetto e gentilezza, elevandosi dal concetto di essere solo suoi figli ma diventandone i custodi, gli amanti. Perché il nostro posto è insieme a quello delle altre specie viventi su questo pianeta, che è esso stesso vivente e ama noi tanto quanto ama una zanzara, senza distinzioni di valore.

Le generazioni del presente possono ricollegarsi con l’essenza della vita e ricominciare a vivere con l’entusiasmo e la magia che accendono gli animi dei bambini, saggi maestri, che sanno ancora cogliere il messaggio di un fiore, mentre noi adulti spesso abbiamo bisogno di risvegliare ciò che ci permette di cogliere quel messaggio.

Così, di nuovo vivi e connessi, potremo godere dell’infinita bellezza in cui siamo immersi.


Debora Stenta

È ricercatrice appassionata su tutto ciò che avviene attorno all’infanzia. Attualmente opera soprattutto come doula, facilitatrice di gruppi, consulente su nascita, relazioni e apprendimento naturale.

Ha fondato “BradoSisma”, con cui svolge ricerca e divulgazione sull’infanzia e il selvatico, e “Disimparando s’impara”, con cui propone percorsi di destrutturazione pedagogica e disapprendimento esperienziale.

Per contattarla: debora.stenta@gmail.com


Guarda l’intervista a Debora Stenta

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La redazione di Vivi Consapevole in Romagna.