Sulla Via dei Romei

Sulla Via dei Romei

Scritto da Giulia Sama

Riscopriamo insieme un sentiero millenario che accompagnava  i pellegrini verso Roma

Questo percorso dal nome evocativo, è posto nell’alta Valle del Savio, incastonato tra la parte orientale del Parco Nazionale e delle Foreste Casentinesi, il Monte Zuccherodante, lo storico Passo di Serra, e il corso del Fiume Savio che scende dal vergheretino.

La zona densamente boscata appare molto selvaggia con una ricchezza di latifoglie quali: querce, carpini, Corniolo, Nocciolo, Maggiociondolo e sorbi, sui torrenti abbondano i salici, mentre salendo si rivengono nuclei di castagni e sopra la fascia degli 800 m domina la faggeta mista a qualche Abete bianco (verso la zona dei Mandrioli).

Le poche aree aperte, come la piana di Nasseto, ospitano praterie ricche di bellissime orchidee; sono ancora utilizzate a pascolo e insieme a pochi ruderi insediativi formano la testimonianza di una passata timida presenza umana.

La geologia di questo luogo è di transizione tra la formazione marnoso – arenacea e le marne di Verghereto.

Si alternano infatti facies a strati marnosi e strati di arenaria spettacolari, come le “Scalacce”, sulla strada che conduce al Passo dei Mandrioli, a veri e propri atolli composti da marne, o a denti formati da calcarenite della zona sopra Castel dell’Alpe.

Tra gli abitanti di questo splendido scenario non manca il Lupo insieme a tanti altri mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e insetti rari come il coleottero Rosalia Alpina.

Il percorso si snoda sulla millenaria Via dei Romei, cioè la strada che per secoli è stata percorsa dai pellegrini che si recavano a Roma attraversando l’Alpe di Serra. Tale via di comunicazione rimase importante anche per gli scambi commerciali tra Romagna e Toscana fino all’apertura della strada dei Mandrioli avvenuta nel 1880.

PRONTI, PARTENZA, VIA!

La partenza avviene dal piccolo parcheggio sulla provinciale, posizionato tra i ruderi del Romitorio (stretto dai piloni della superstrada E45) e l’imbocco per l’antico borgo delle Gualchiere. Il valore naturalistico del luogo si amalgama al valore storico di questo fantastico borgo.

È un esempio ben conservato di insediamento paleoindustriale in cui l’uomo fin dal XV secolo ha utilizzato le risorse de territorio e con l’aiuto dell’energia dell’acqua ha creato una segheria, un mulino, un sistema per frollare e tingere la lana e una fornace per realizzare materiali edilizi.

  • Imbocchiamo quindi il Sentiero CAI 177 che attraversa il Borgo delle Gualchiere e che porta al torrente omonimo. Poco oltre l’abitato osserviamo una cascatella costituita da una piccola porzione di travertino con sopra formazioni di muschi. Il percorso consigliato è quello che attraversa per sei volte le anse del torrente che ospitano Salix eleagnos e una vegetazione arbustiva inserita negli alvei fluviali e per questo definita pioniera ed erratica, qui rappresentata anche da forme arboree di salici. In caso di piena del torrente, dopo le Gualchiere e la presa d’acqua, si può svoltare sul sentiero di destra che scavalca il corso d’acqua e arriva sulle prime rampe della mulattiera.
  • Passate le anse, la via si alza attraverso un bel tratto di ciottolato della originale mulattiera, per poi arrivare al ponte del Capanno, alla confluenza del torrente Faeta e quello del Chiuso.
  • Dopo aver passato la Maestà Balassini la strada sale, si passa il sentiero CAI 181 a sinistra (dal quale sbucheremo al ritorno) e poi la mulattiera inizia decisa ad arrampicarsi tra la vegetazone rada composta da ginepri, Carpino nero, Maggiociondolo e Cerro. Gli scorci sulla strada di fondovalle E45 aumentano man mano che si sale sulla tortuosa via selciata sulla marna. Ben visibili anche i Monti Còmero e Fumaiolo. La vista poi spazia sul selvaggio Fosso del Capanno, sovrastato dal Passo dei Mandrioli e più a destra dalla Cima Termini e dai citati Scalacci. Sui versanti nord appaiono il Carpino bianco, aceri e qualche boschetto di Faggio. Passando tra una strettoia formata da Rovi di mora, Prugnolo e rose, si arriva all’area aperta dell’altopiano di Nasseto a quota 897 m (circa 1,5 ore dal ponte).
  • L’area prativa era utilizzata per la produzione del grano e sulla destra i ruderi dell’abitazione abitata fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Su questo luogo sorgeva, già documentata nel Cinquecento, una osteria che dava “assistenza” ai tanti viandanti che frequentavano il luogo. . Il panorama è totale: dal Passo dei Mandrioli alla Valle del Savio, ai Monti Còmero e Fumaiolo e infine il Monte Zuccherodante che si staglia all’orizzonte colmo di una fitta vegetazione. Si continua in direzione sud sotto un bel viale di aceri, cerri e carpini contorti, per sbucare in vista del Monte Zuccherodante, su un’area aperta, su argille a scaglie. Il sentiero va percorso con attenzione per via di alcuni stretti tratti su argilla; una volta incontrato il palo con il doppio cartello, si gira a sinistra in basso sul sentiero CAI 181. Alcuni tratti aperti e un fresco boschetto di Faggio ci conducono in discesa fino a un fossetto e poi la strada forestale sale fino all’imbocco con la deviazione per Castel dell’Alpe, che rimane in basso e non lo raggiungiamo (circa 45 minuti da Nasseto).
  • L’antica rocca che controllava i passaggi non è più visibile, ma ci sono un fabbricato pericolante e un’area di pascolo. Dall’incrocio si gira dietro, a sinistra, per percorrere un sentiero aperto con ginepri, cerri e carpini, che regala scorci a sinistra sulla piana di Nasseto e tutto il crinale appenninico spartiacque.
  • A sinistra in basso una bella cascata (se presente acqua) in una zona dirupata e formata da una associazione vegetale di aceri, Olmo maggiore e Tiglio. Si passano crinali anche ripidi su argilla e tra zone aperte e boschetti di latifoglie e Pino e si giunge alla diroccata Cà il Chiuso.
  • Si scende in maniera ripida tra un bosco di castagneti, mescolato con diverse specie di latifoglie. Si arriva al torrente, che oltrepassato ci consente di salire fino all’incrocio con il sentiero CAI 177 che è stato utilizzato all’andata. Si gira a destra e si ripercorre in discesa il tratto già percorso in precedenza e si arriva al parcheggio vicino al Romitorio (circa 1 ora da Cà il Chiuso).

Giulia Sama

Sin da piccola, è sempre stata attratta dai fiori e dagli alberi, passione che l’ha portata a iscriversi alla facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali, laureandosi in Scienze naturali con il massimo dei voti. È referente naturalistica del Club Alpino Italiano, sezione di Cesena, con il quale svolge corsi di escursioni e fotografia naturalistica (altra sua passione). Attualmente è iscritta all’Istituto di Medicina Naturale di Urbino, Scuola Italiana di Naturopatia; lavora presso il Macrolibrarsi Store e la Fattoria dell’Autosufficienza.

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La redazione di Vivi Consapevole in Romagna.